Ora Valerio Mastrandrea si è trasferito ma allora Repubblica pubblicò questo articolo
Dal Venerdì di Repubblica del 30 maggio
Di Emilio Marrese
Roma. “Ahò, ma questo lo conoscete?” chiede Gaetano, il padrone del bar, a due pischelle, indicando quel bel ragazzone che beve un caffè al banco. Silenzio. Risolini imbarazzati. “Eddaje: è Mastandrea!”. Aaah. E chi à?
E’ uno, Valerio Mastandrea, che non ha fatto il cesarone ma alla Garbatella c’è nato, cresciuto e tuttora ci vive. Il bar è quello della Roma club del quartiere: nella fiction di Canale 5 è l’esterno della bottiglieria di Amendola ed è meta di un incessante pellegrinaggio di fan e curiosi, che si fanno la foto ricordo e poi, entrando, scoprono un interno non corrispondente a quello costruito a Cinecittà per la tv. Nella realtà, tra poster e ritagli, campeggia una foto dello striscione con la scritta so’ soddisfazzioni “Quello striscione l’ho fatto io” dice Valerio. Anno 2001, ultimo scudetto della Roma. Quello che, invece, aveva in mente per quest’anno, là è rimasto: in mente. “Ma è stata lo stesso una grande domenica garbatellara”. Fuori dal club in piazza Giovanni da Triora ci sono il pappagallo Nerone, che sa un sacco di parolacce, e la foto di Agostino di Bartolomei, capitano dello scudetto ’83: aveva iniziato qui, all’oratorio di S. Filippo Neri, e frequentava lo stesso scientifico dove poi sarebbe andata anche Mastandrea, il Borromini. Valerio, invece, giocava a basket, playmaker. Sulla tenda esterna Gaetano, che indossa la t-shirt Garbatella indipendente, ha appiccicato la scritta bar dei Cesaroni. Dentro vende gadget a raffica. “Ti sei proprio prestato” lo provoca Mastandrea. “no, no: me so’ proprio venduto”.
La Garbatella, divenuta ora popolare in tutta Italia grazie ai Cesaroni, esiste dal 1920. Ed è sempre stato un posto molto speciale e cinematografico.
Un set naturale, scelto già da Luciano Emmer (Le ragazze di piazza di Spagna), Ettore Scola (C’eravamo tanto amati Sandrelli e Manfredi iscrivono i figli alla scuola Battisti di piazza Sauli la stessa dei Cesaroni). Alberto Sordi gridava per queste strade “signorina Margheriiita” in Mamma mia, che impressione! Visse qui, in via delle Sette Chiese, dal ’30 al ’40, e i vecchi se lo ricordano come uno un po’ bamboccione, che i coetanei sfottevano. Qui sono nati Enrico Montensano, Enzo Staiola, il ragazzino di Ladri di biciclette e il povero ma bello Maurizio Arena, la cui sorella Rossano (l’Erminia di tanti film di Sordi) oggi è per tutto Sora Garbatella: un’istituzione. Pasolini, che ci ambientò alcune pagine di Una vita violenta, veniva a caccia di facce. Come quella di Angelino, della bottega vino e olii. “Qui si entra in un’altra dimensione del tempo” annuncia Mastandrea. Ed è vero. Alla parete c’è una vecchia foto di Angelino in Accattone “Cos’ha di speciale la Garbatella? E' romanista, verde e umana”
La Garbatella è una paese di 45 mila anime dentro Roma. Un altrove abitato da romani veraci e garbati. Un’isola rossa come i suoi tetti. Un esercizio di stile urbanistico
Come racconta un documentario del Luce la città garbata, che ripercorre la storia della “città giardino”. Le stradine strette, i lotti popolari ma eleganti, i palazzi tutti diversi l’uno dall’altro, il barocchetto romano delle facciate. E un pavone che abita in un cortile e gira un po’ dove gli va. Non è che qui il tempo s’è fermato, però va molto più piano.
“E’ un quartiere a misura d’uomo” dice Mastaandrea “che conserva una sua identità. Mi piace viverne la quotidianità, la tranquillità. Non me ne andrei mai. E’ abitato da persone interessanti. Mi diverte vedere il sottoproletariato invidiato dai ricchissimi inglesi di passaggio”. Le poche case in vendita hanno prezzi alti. Il diritto a quelle popolari passa di generazione in generazione (salvo aggirare vincoli illecitamente).
“Qui ti senti protetto. Una tutela che però non è chiusura verso l’esterno” dice Valerio, che dal ’96 vive all’ultimo piano di un palazzotto tra i più antichi, 1921, a due passi dalla clinica dov’è nato e dal Teatro Palladium. “Ogni tanto ci faccio qualche lettura, ma sogno di portarci un mio spettacolo: arriverei in ciavatte e dopo mangerei a casa”.
Nonostante venga da qui anche la giovane Giorgia Meloni, il primo ministro targato Garbatella, il quartiere resiste a sinistra: 500 voti di scarto tra Rutelli ed Alemanno, ma ben 17 mila in più per il candidato di centrosinistra nelle elezioni di quartiere. “Anche la politica qui è umana” racconta Valerio “C’è fervore, Tante associazioni che organizzano iniziative. Quel radicamento sociale sul territorio che si rimprovera alla sinistra di aver perso, qui c’è”. A parte qualche scena di Chi nasce tondo, un piccolo film ora solo a Roma, Mastandrea non ha mai girato in queste strade dove tutti lo salutano con un cenno. “Non mi viene da ambientarci un film: sarebbe come raccontare gli affari miei. Però sono un po’ geloso delle troupe che arrivano da fuori: è come se mi entrassero in casa. Vorrei poterci girare solo io”.
Dal Venerdì di Repubblica del 30 maggio
Di Emilio Marrese
Roma. “Ahò, ma questo lo conoscete?” chiede Gaetano, il padrone del bar, a due pischelle, indicando quel bel ragazzone che beve un caffè al banco. Silenzio. Risolini imbarazzati. “Eddaje: è Mastandrea!”. Aaah. E chi à?
E’ uno, Valerio Mastandrea, che non ha fatto il cesarone ma alla Garbatella c’è nato, cresciuto e tuttora ci vive. Il bar è quello della Roma club del quartiere: nella fiction di Canale 5 è l’esterno della bottiglieria di Amendola ed è meta di un incessante pellegrinaggio di fan e curiosi, che si fanno la foto ricordo e poi, entrando, scoprono un interno non corrispondente a quello costruito a Cinecittà per la tv. Nella realtà, tra poster e ritagli, campeggia una foto dello striscione con la scritta so’ soddisfazzioni “Quello striscione l’ho fatto io” dice Valerio. Anno 2001, ultimo scudetto della Roma. Quello che, invece, aveva in mente per quest’anno, là è rimasto: in mente. “Ma è stata lo stesso una grande domenica garbatellara”. Fuori dal club in piazza Giovanni da Triora ci sono il pappagallo Nerone, che sa un sacco di parolacce, e la foto di Agostino di Bartolomei, capitano dello scudetto ’83: aveva iniziato qui, all’oratorio di S. Filippo Neri, e frequentava lo stesso scientifico dove poi sarebbe andata anche Mastandrea, il Borromini. Valerio, invece, giocava a basket, playmaker. Sulla tenda esterna Gaetano, che indossa la t-shirt Garbatella indipendente, ha appiccicato la scritta bar dei Cesaroni. Dentro vende gadget a raffica. “Ti sei proprio prestato” lo provoca Mastandrea. “no, no: me so’ proprio venduto”.
La Garbatella, divenuta ora popolare in tutta Italia grazie ai Cesaroni, esiste dal 1920. Ed è sempre stato un posto molto speciale e cinematografico.
Un set naturale, scelto già da Luciano Emmer (Le ragazze di piazza di Spagna), Ettore Scola (C’eravamo tanto amati Sandrelli e Manfredi iscrivono i figli alla scuola Battisti di piazza Sauli la stessa dei Cesaroni). Alberto Sordi gridava per queste strade “signorina Margheriiita” in Mamma mia, che impressione! Visse qui, in via delle Sette Chiese, dal ’30 al ’40, e i vecchi se lo ricordano come uno un po’ bamboccione, che i coetanei sfottevano. Qui sono nati Enrico Montensano, Enzo Staiola, il ragazzino di Ladri di biciclette e il povero ma bello Maurizio Arena, la cui sorella Rossano (l’Erminia di tanti film di Sordi) oggi è per tutto Sora Garbatella: un’istituzione. Pasolini, che ci ambientò alcune pagine di Una vita violenta, veniva a caccia di facce. Come quella di Angelino, della bottega vino e olii. “Qui si entra in un’altra dimensione del tempo” annuncia Mastandrea. Ed è vero. Alla parete c’è una vecchia foto di Angelino in Accattone “Cos’ha di speciale la Garbatella? E' romanista, verde e umana”
La Garbatella è una paese di 45 mila anime dentro Roma. Un altrove abitato da romani veraci e garbati. Un’isola rossa come i suoi tetti. Un esercizio di stile urbanistico
Come racconta un documentario del Luce la città garbata, che ripercorre la storia della “città giardino”. Le stradine strette, i lotti popolari ma eleganti, i palazzi tutti diversi l’uno dall’altro, il barocchetto romano delle facciate. E un pavone che abita in un cortile e gira un po’ dove gli va. Non è che qui il tempo s’è fermato, però va molto più piano.
“E’ un quartiere a misura d’uomo” dice Mastaandrea “che conserva una sua identità. Mi piace viverne la quotidianità, la tranquillità. Non me ne andrei mai. E’ abitato da persone interessanti. Mi diverte vedere il sottoproletariato invidiato dai ricchissimi inglesi di passaggio”. Le poche case in vendita hanno prezzi alti. Il diritto a quelle popolari passa di generazione in generazione (salvo aggirare vincoli illecitamente).
“Qui ti senti protetto. Una tutela che però non è chiusura verso l’esterno” dice Valerio, che dal ’96 vive all’ultimo piano di un palazzotto tra i più antichi, 1921, a due passi dalla clinica dov’è nato e dal Teatro Palladium. “Ogni tanto ci faccio qualche lettura, ma sogno di portarci un mio spettacolo: arriverei in ciavatte e dopo mangerei a casa”.
Nonostante venga da qui anche la giovane Giorgia Meloni, il primo ministro targato Garbatella, il quartiere resiste a sinistra: 500 voti di scarto tra Rutelli ed Alemanno, ma ben 17 mila in più per il candidato di centrosinistra nelle elezioni di quartiere. “Anche la politica qui è umana” racconta Valerio “C’è fervore, Tante associazioni che organizzano iniziative. Quel radicamento sociale sul territorio che si rimprovera alla sinistra di aver perso, qui c’è”. A parte qualche scena di Chi nasce tondo, un piccolo film ora solo a Roma, Mastandrea non ha mai girato in queste strade dove tutti lo salutano con un cenno. “Non mi viene da ambientarci un film: sarebbe come raccontare gli affari miei. Però sono un po’ geloso delle troupe che arrivano da fuori: è come se mi entrassero in casa. Vorrei poterci girare solo io”.
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