giovedì 23 maggio 2013

Enrico Mancini

 
Targa commemorativa in Via Percoto 5


Leggendo il libro di Adelio Canali: "Una Terrazza sulla Garbatella", che racconta il quartiere degli anni trenta e quaranta e tocca in modo drammatico, l’episodio delle fosse Ardeatine, mi sono ricordata della testimonianza fatta dal figlio di uno dei martiri della Garbatella: Enrico Mancini. Suo figlio Riccardo, con dolore e rabbia, racconta l’episodio del suo arresto nel book Percorsi, distributo un paio di anni fa nel quartiere.
Dopo il suo arrivo nella capitale, frequentò le elementari a Testaccio. Presto Enrico aveva dovuto lavorare. Apprendista in una falegnameria, aveva appreso molto bene il mestiere, specializzandosi come ebanista. Lasciato il lavoro perché chiamato alle armi, aveva combattuto nella Prima guerra mondiale. Ne era tornato con il grado di sergente maggiore del Genio, una medaglia di bronzo e una croce di guerra e si era messo in proprio, aprendo una falegnameria nella zona di Porta San Paolo. Negli anni venti, il suo rifiuto di aderire al fascismo gli costò l'incendio del laboratorio e del negozio di mobili, ma Mancini, nonostante i sei figli da crescere, non si piegò

Nel frattempo, espulso dalla casa di Via Bodoni a Testaccio, gli fu assegnato l'alloggio-ghetto della Garbatella: agli “Alberghi", Lotto 43 delle case popolari in Via Percoto. Due stanze per otto persone con lungo corridoio, gabinetti e cucina in comune con altre famiglie di sfrattati.

Nel 1942, si era ormai dedicato al commercio di mobili, fu tra i primi a Roma ad aderire al Partito d'Azione, coordinandone l'attività clandestina tra Testaccio, l'Ostiense e la Garbatella e subito dopo l'8 settembre entrò nella Resistenza, assumendo funzioni dirigenti nella Brigata Garibaldi. Mancini si impegnò nel dare aiuto economico ai perseguitati politici, nell'organizzare i militari sbandati, nel mantenere i collegamenti con i partigiani alla macchia, nel rifornire di armi e di materiale di propaganda i gruppi della Resistenza.
 

In Via Mario de' Fiori, aprì un ufficio di rappresentanza commerciale agricola: comprava in campagna e rivendeva ai dettaglianti. In quell'ufficio raccontano i figli, facevano capo dirigenti del partito d'azione.
Poi, dopo l'8 settembre 1943, svolse un'intensa attività di collegamenti a Roma e fuori.
Un'attività preziosissima, che fu bloccata il 7 marzo del '44, quando i fascisti della banda Koch prelevarono Mancini nel suo ufficio, lo portarono nella famigerata Pensione Oltremare e di lì nella Pensione Iaccarino dove, nonostante dodici giorni di torture, non riuscirono ad estorcergli informazioni. Rinchiuso, il 18 marzo, nel terzo braccio di Regina Coeli in attesa di processo.


Ricorda il figlio Riccardo:
“Al centro di Roma, la banda fascista del famigerato dottor Kock, aveva circondato il palazzo di Via Mario de Fiori e dall’ufficio commerciale, veniva portato fuori mio padre, a furia di percosse veniva caricato su una macchina nera e portato alla Pensione Oltremare, al n. 2 di via Principe Amedeo, una palazzina che i fascisti avevano attrezzato come prigione e sala di tortura.  Quello stesso 7 marzo del 43, qualcuno forse per 5 mila lire, vigliaccamente, aveva venduto mio padre ai fascisti … Io avevo cinque anni, non capivo perchè
per molti giorni un mare di gente continuava a riempire casa mia, per portare solidarietà a mia madre. A volte, verso sera, per un po’ di tempo mi andavo a sedere ai gradini della grande scalinata che porta all’ingresso principale del 3° Albergo. Anche lì non riuscivo a capire perché mio padre non veniva più a dirmi la solita, simpatica e innocente bugia. Quando lui tornava dal lavoro io da quella scalinata lo vedevo subito, allora gli correvo incontro, lui mi afferrava a due mani, mi sollevava in aria e mi diceva quasi gridando: ecco il più bello d’Europa!…”.


Fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944, il suo corpo quando venne riesumato, presentava i segni delle torture subite.
Alla moglie fu restituito un solo effetto personale e fu con quello in mano, che Adelio Canali, che li conosceva, la trovò piangente e disperata con l’unica cosa che le era rimasta di suo marito.



In memoria di tutti i martiri delle Fosse Ardeatine, voglio pubblicare qui, una poesia di mia madre, che visse in quei tempi terribili, udì le esplosioni causate dai tedeschi nel tentativo di occultare la strage e in seguito, partecipò, con tanti della Garbatella, ad una muta processione per andare a vedere cosa fosse successo, scoprendo un’orrenda verità. Per lei appena adolescente fu uno shock terribile che l’ha segnata per tutta la vita.


Le fosse ardeatine

Il giorno che scoprimmo
le “Fosse Ardeatine”,
fu quello in cui udimmo
lo scoppio delle mine.

La gente, costernata,
correndo per la strada,
gridava a perdifiato:
“quanta gente hanno ammazzato!

Laggiù… Dentro certe grotte
l’hanno portati,figli di m.…..te!”.
Con mia madre, ci mettemmo appresso
per vedere che cosa era successo.

Li vedemmo; stavano ammassati
come immondizia,ancora incatenati.
Nella spelonca, d’ogni onore priva,
una pietosa nebbia li copriva.

Fra di loro, fiori calpestati,
due fanciulli, da casa prelevati
mentre erano nello studio intenti;
in via Rasella… Brutti delinquenti!

La gente guardando inorridita
assisteva allo scempio della vita.
All’epoca ero appena adolescente
ma ce l’ho sempre fisso nella mente.

E’ mai possibile che quattro mentecatti,
possan così, decidere per tutti
e sterminare le popolazioni?
Dio mio, perché tante tribolazioni?

Soltanto Tu che sei bontà infinita,
puoi dare e puoi riprendere la vita!





Ivana C.
 
Fonti: Storia di un quartiere negli anni terribili del fascismo di Cosmo Barbato
Una terrazza sulla Garbatella di Adelio Canali
Testimonianza di Riccardo Mancini su Percorsi.
anpi.it




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