La
guerriglia urbana alla Garbatella, arrivò un 26 di maggio. Cavalcando
l'odore delle rose ormai quasi sfiorite alla leggera brezza. Quel
giorno, la brezza, sparse l'odore caustico dei lacrimogeni accecando
tutti, fin dentro le case.
Quella data ce l'ho impressa nella mente, era il 1970.
Ero quell'anno, un'adolescente in erba, appena uscita dalle scuole
elementari. Nulla sapevo o quasi delle guerre e delle guerriglie. Le
urla dalla strada arrivarono fin dentro casa. Le sirene dei celerini a
tutta velocità perforavano le orecchie, piazzando un posto di blocco
sotto al mio palazzo.
Correvano
tutti i manifestanti, coprendosi parte del naso e della bocca con
fazzoletti di fortuna, come i rapinatori di banche dei film western.
La
polizia caricava e loro, come formiche impazzite, così apparivano da
uno degli ultimi piani del palazzo, cercavano riparo nei lotti.
Poi
mio padre, chiuse tutte le serrande. Qui ci scappa il morto se qualcuno
spara, disse. Serrammo anche le finestre ma questo non impedì ai
micidiali lacrimogeni di penetrare dentro insidiosamente e cominciammo a
tossire e lacrimare anche noi, inconsapevoli di tutto.
Cos'era
successo? Al quartiere Eur, poco più a sud, c'era in programma
un'importante riunione di generali NATO. I gruppi extraparlamentari di
sinistra, quelli che a Roma vennero chiamati “gruppettari” si erano
riuniti senza autorizzazione, sotto la bandiera vietcong. Manifestavano
contro gli Stati Uniti e i loro B52 gettati sulla popolazione inerme
del Vietnam e della Corea, che quei ragazzi in strada e “contro il
potere” credevano di difendere. Per altri ideali e in altro tempo erano
come quelli massacrati di botte alla scuola Diaz a Genova.
Giovani
che avevano inglobato gli ideali del sessantotto che aveva incendiato
tutta l'Europa e combattevano per quegli ideali, purtroppo se pur per la
pace, scivolavano nella violenza essi stessi. Ragazzi di una manciata
d'anni più di me, che tremante e ignara, li guardavo senza capire da
dietro le finestre.
La
manifestazione iniziò alla Basilica di S. Paolo per degenerare in
guerriglia urbana. La folla correva cercando di scansare le cariche
della polizia, salì da via delle Sette Chiese verso Garbatella.
La
sassaiola era come grandine che lasciava il segno, feriti da entrambi
le parti. I poliziotti sfogavano la rabbia sui manifestanti che a loro
volta cercavano di non mancare neanche un colpo.
Tra cariche e retrocessioni, si ritrovarono tutti davanti al Palladium e presero a seguire le rotaie del tram.
Dal capolinea a via Giacomo Rho, scesero per via Roberto dei Nobili, via Persico, via Magnaghi.
Coinvolgendo come una diga senza più contenimento anche chi, ignaro si trovò in mezzo per la strada.
Lo scrittore Erri De Luca, faceva parte del corteo e ha descritto più volte le scene e la storia dal suo punto di vista.
“I
negozi restavano aperti. Chiudevano di colpo se qualcuno di noialtri si
riparava inseguito, allora il padrone abbassava di botto la serranda e
le truppe fuori a tirar calci, a spararci contro un candelotto. Ma poi
si dovevano ritirare, dai balconi grondava fitto.
Non
hai mai visto commercianti comportarsi così con la clientela? Era un
effetto di quella strana felicità: se uno per sbaglio chiudeva la
serranda in faccia a un ragazzo in fuga, lasciandolo fuori al pestaggio,
il giorno dopo e quelli successivi se ne poteva pure stare a casa,
tanto in bottega da lui, non entrava nessuno per un pezzo....”.
“Il
resto di noialtri restò per la notte in strada insieme al popolo di
Garbatella a raccontare, a contarsi, bere caffè, bicchierini di
cordiale, masticare pane appena cotto, scambiarsi strette di mano.”
Sembra che a un certo punto, tutta la Garbatella si fosse schierata dalla parte dei manifestanti e contro le forze dell'ordine.
Molti
ragazzi furono accolti nelle case, medicati, assistiti e nascosti ai
carabinieri. Passarono le ore, ma “calate le ombre scure della notte,
arrivarono le cariche più dure e i rastrellamenti. A fine giornata si
contarono ottanta fermati, una decina di arresti e moltissimi feriti,
soprattutto dopo la devastazione della sezione del Pci, la storica
Villetta, scambiata dai carabinieri per un covo di sovversivi.” *
Nelle
parole di De Luca, si ritrova tutto lo spirito del quartiere, compatto
e solidale quando serve e con chi ne ha bisogno.
“Dai
balconi, grandinava fitto e le persone scese dalle case stavano con la
meglio zoventù, facendola felice. (La chiama così, come un tempo erano
chiamati i partigiani sulle montagne)
Perchè felicità per noi è stato un quartiere insorto all'improvviso, affianco e intorno.”
E quelli di Garbatella?
“Ce
ne stavamo tranquilli al bar – Un certo Carlo del lotto 43 – quando un
ufficiale sceso da un jeeppone ci disse d'andare via. Arrivò pure
Peppone, una guardia buona e il sor Paolo “ciancicone”, il commissario
di Garbatella. Insistevano: annate a casa ch'è meglio. Ma con me e
Pepetto c'erano zio Otello, lo Zingaro, Gnappetta, era padre del Pitocco
e Gino: una bella compagnia e non c'annava di farci cacciare dal bar.
“Mica stamo ar tempo dei tedeschi”, s'incazzò zio Otello, ma non fece in
tempo a finire la frase che uno con la fascia tricolore comandava la
carica.” *
E
così decisero in un batter d'occhio con chi stare. Sarà forse per
questo spirito di libertà che in via S. Nemesio, angolo via di Villa di
Lucina, di fronte all'ospedale CTO, campeggia a caratteri cubitali la
scritta: "You are now entering free Garbatella".
I brani sono tratti dal libro di Erri De Luca: “Il contrario di uno”
* Claudio D'Aguanno, giornalista, in percorsi di Garbatella.
Il post è stato pubblicato su Pensieri in chiaro scuro il mio blog
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