giovedì 18 aprile 2013

Giochi Vintage

La sottoscritta sul balcone del lotto otto




Il cortile del lotto otto, come più volte abbiamo accennato, è stato un luogo d’aggregazione di generazioni di ragazzini. Ci giocava mio padre negli anni trenta, ci ho giocato io, lottootto, caldozza, Nicla, Antonella, Gioia e Perla, Daniela e tanti altri di cui ho perso un po’ il ricordo. Negli anni sessanta quali erano i giochi più in voga?
Erano vari e anche un po’ diversi tra quelli che facevamo noi femmine e quelli più scatenati dei maschi e di cui spero parleranno gli interessati.
Ricordo le classiche pentole e servizi di plastica, con cui imboccavamo le bambole. Apparecchiavamo sotto il famoso cedro del Libano, e ci divertivamo a fare le mamme. Lavoro che poi nel futuro ci è toccato davvero e con molto meno divertimento.
Non mancavano le liti, le sberle e i pianti. Tutte cose che ci hanno aiutato ad imparare la civile convivenza, perché in fondo il lotto era una scuola di vita.
Ogni gioco di gruppo, iniziava invariabilmente con la conta.
Le conte della nostra infanzia, quelle che si facevano prima dei giochi, quelle che si litigava per chi le doveva fare, finendo quasi sempre per fare la conta, per chi doveva fare la conta, quelle che servivano per designare qualcuno a fare qualcosa, sono state centinaia, molte note, diffuse e continuamente re-inventate, molte frutto della fantasia estemporanea di noi bambini. Eccovi alcuni esempi: "ponte ponente ponte ppì tappe tapperugia, ponte ponente ponte ppì tappe tapperì"; "ambarabà ciccì coccò tre civette sul comò che facevano l'amore con la figlia del dottore il dottore si ammalò ambarabà ciccì coccò" e finiva con che toc-che-reb-be pre-ci-sa-men-te a te che sei la figlia del re e della regina e ad ogni sillaba veniva indicata una di noi.
Una volta stabilito chi avrebbe dovuto girare la corda e chi doveva saltare, si iniziava a saltare contando il numero più alto di salti, che ognuna riusciva a fare senza inciampare nella corda.
Nelle pedane di accesso al cortile, rimediando un gesso bianco o colorato, disegnavamo la campana. La campana e' quella serie di quadratoni che si disegnava per terra con schema1-2-2-1-1-1-2-1 (un quadrato, due affiancati, due, uno singolo e via uno dopo l'altro) o simili, e che bisognava percorrere a balzelloni, quadrato 1-singolo su un piede solo 2-quadrati affiancati con entrambi i piedi, andata e ritorno senza impicciarsi saltare un quadrato o perdere l'equilibrio toccando per terra-fuori. I quadrati dentro erano numerati, e a volte bisognava fare per maggior complicazione un percorso obbligato tipo 1 3 5 2 4 6 5 2 1. Era un esercizio tostissimo e utilissimo per sviluppare equilibrio e forza elastica, gratuito e divertente a differenza di sport e palestre che i bambini sono costretti a frequentare oggi.
Coi maschi giocavamo a nascondino. Scelta la cosiddetta "tana" (un tronco d'albero o il muro di una casa) si designava chi doveva "stare sotto" tramite la "conta". Il prescelto doveva poi contare ad occhi chiusi fino ad un numero concordato tutti insieme (30, 40, 50 anche 100, anche di più) mentre gli altri partecipanti al gioco andavano a nascondersi. Una volta concluso di contare, chi "stava sotto" iniziava a cercare i compagni di gioco. Avvistatone uno doveva gridarne il nome (a volte anche toccarlo) e correre fulmineamente verso la "tana" insieme al giocatore appena scoperto. Il primo dei due che raggiungeva la "tana" doveva toccarla e gridare a squarciagola "tana!". Di conseguenza il meno veloce dei due doveva "stare sotto" a sua volta e riprendere la caccia ai giocatori nascosti. Chi riusciva a raggiungere la "tana" con successo poteva così gustarsi il resto del gioco da puro spettatore. L'obiettivo dei giocatori nascosti era di cercare di lasciare i rifugi senza essere visti o toccati e di raggiungere il punto di tana gridando "tana" per liberare sé stessi, oppure il favoloso "tana liberi tutti". Ogni mano si concludeva quando tutti i giocatori erano stati scoperti e ne restava uno "sotto", non necessariamente quello che era stato designato inizialmente con la conta.
Regina Reginella gioco di gruppo anche questo. Scopo del gioco: raggiungere un giocatore (Regina). A turno ogni giocatore doveva recitare la seguente cantilena: "Regina, reginella:quanti passi devo fare per arrivare al tuo castello, con la fede e con l'anello?" La Regina decideva allora di quanti e quali passi può avanzare il giocatore. I passi erano ispirati agli animali. Quindi erano ambitissimi i passi da Elefante (enormi) o da Leone e ben poco ambiti quelli da formica (piccolissimi) o quelli da gambero (passi all'indietro). Il giocatore che a fine percorso raggiungeva la regina vinceva e sostituiva la regina nel giro successivo.




Con quali giocattoli giocavano i bambini negli anni sessanta? Per noi bambine c’erano le bambole Furga, di cui ho ancora il ricordo dell’odore di plastica. Le biciclette Graziella, la mia tutta rossa fiammante, scese in cortile una sola volta, alla prima caduta, andò a finire sull’armadio di mio nonno e non la vidi più.
E le macchinine a pedale? Ve le ricordate? Anche la sottoscritta ne possedeva una, che non è mai stata portata in cortile. Ci ho giocato con Nicla nel corridoio di casa, che a me sembrava lunghissimo. Aveva anche le luci che si accendevano a batteria, ma si ruppero quasi subito.
Vi ricordate l’Acchiapparella? Ancora piu` semplice del nascondino: chi "stava sotto" doveva acchiappare gli altri giocatori che fuggivano di corsa per non lasciarsi prendere. Chi veniva toccato stava sotto a sua volta, liberando dal gioco l'avversario. Di solito il ruolo dell'inseguitore toccava ai bambini piu` robusti. Garantiti dolori alla milza e sudate inenarrabili!
Chiudo con un ricordo. Dopo un pomeriggio passato ad acchiapparci tra i tanti ragazzini del lotto, mi ritrovo con le spalle alla scala F. Lottootto con le mani tutte infangate, insieme al figlio del portiere, che mi pare si chiamasse Paolo, avanza verso di me urlando che è il mostro fangoso. Io indietreggio e non m’accorgo della scala che porta allo scantinato. Ruzzolo con tutti gli occhiali tra lacrime e lividi, mi prendo pure una bella sgridata da mia madre, che per un bel pezzo non mi fa più scendere in cortile. Con questo episodio, spero di aver soddisfatto il desiderio di Rondine, mia sorella, che ogni tanto mi dice: “ma gliel’hai ricordato a Lottootto l’episodio?”

Questo post fu pubblicato sul vecchio blog di splinder. Lo ripropongo con piacere e nostalgia facendomi una risata con il mio amico e le nostre trovate d'infanzia.




3 commenti:

  1. ciao..mi riconosco moltissimo in questo tuo scritto ke fa venire un pò le lacrime agli occhi perchè descrive un percorso narrativo molto bello, vissuto nella pienezza dei sentimenti, godendo delle piccole cose e gioendo di ogni singolo momento accanto alle persone care e agli amici che hanno rallegrato la nostra infanzia. La Garbatella è anche la mia culla oltre che quella di tanti altri avventori di questo tuo blog e che amano ripercorrere tratti di vita inseguendo ricordi bellissimi di cui il nostro quartiere è stata la cornice perfetta. Per molti di noi, la Garbatella continua ad essere teatro di grandi realtà, di grembo materno per chi ci si addormenta ogni notte, cullato da grandi e amorevoli braccia..amo questa Garbatella che tanto mi ha regalato e che resta la mia sola "casa" anche se ora la mia casa è dove c'è la mia famiglia..il mio cuore è li, dove mi vedo bambina sgambettare e ridere insieme ai miei amichetti o per mano ai miei genitori per le strade della Garbatella dove altro pensiero non avevo che essere felice..
    Susy

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  2. Nonostante io sia di una generazione molto diversa da quella della narratrice, devo ammettere che anche mi ritrovo moltissimo in tutti questi vecchi giochi! Fatti e rifatti ogni giorno che era possibile scendere in cortile (a volte anche quando non si poteva! :P)
    E, anche io, sono cresciuto tra le mura del Lotto 8. Che insegnamenti mi ha lasciato e che amicizie reali e forti mi ha permesso di trovare!

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  3. Sono molto colpita da quello che la Garbatella riesce a tirare fuori dal nostro intimo, commozione e ricordi. I nostri giochi d'allora, dovrebbero essere insegnati di nuovi ai bambini di oggi. Molto spesso mancano di libertà, li si carica d'impegni ma non si insegna loro come gestirsi un gioco, spiegare la fantasia e socializzare tra coetanei al di là di un'attività pilotata da adulti o dai giochi virtuali.

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